La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, dopo quasi un anno di attesa, in data 16 gennaio 2018 si è pronunciata sulla validità del contratto monofirma.
La Sentenza n. 898 afferma infatti che “Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall’art. 23 del d.lgs. 24/2/1998, n. 58, è rispettato over sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti.”
La Sentenza delinea uno scenario già peraltro conformatosi in passato con la Sentenza di Cassazione, sez. I civile, n. 4564/2012 per la quale “Anche a voler ritenere che non risulti una copia firmata del contratto da parte della banca, l’intento di questa di avvalersi del contratto risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto […]”
La Sentenza in oggetto comunque risulta essere un’inversione di rotta rispetto alle recenti pronunce degli ermellini. In particolare tra il 2016 ed il 2017 si era delineato un orientamento del tutto contrario alle predette pronunce. Si richiamano le Sentenze della Corte di Cassazione n. 5919/2016, n. 7068/2016, n. 8395/2016, n. 8396/2016, n. 10331/2016, n. 36/2017 e n. 10447/2017 per le quali invece il contratto “monofirma” sarebbe stato da considerarsi nullo alla stregua dell’art. 23 TUF (ed implicitamente dell’art. 117 TUB).
La pronuncia delle Sezioni Unite sembrerebbe non lasciare spazio ad altre interpretazioni ma in fondo nel diritto italiano, in particolare nel diritto bancario, siamo stati abituati ad assistere a repentini capovolgimenti interpretativi.